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Rubrica Leggerissima: “Hustle”, un dramma sportivo in cui Adam Sandler è perfetto

Ve lo ricordate Adam Sandler nel 2008 in “Zohan – Tutte le donne vengono al pettine”, titolo originale “You Don’t Mess With The Zohan”, regia di Dennis Dugan? O in “Terapia d’urto”, “Anger Management”, di Peter Segal (2003) o ancora in “50 volte il primo bacio”, “50 First Dates”, di Peter Segal (2004)?

Anche se ancora recita in commedie ultra-popolari e se proprio queste hanno fatto da trampolino alla sua carriera, Adam Sandler è un attore che nulla ha da invidiare a chi recita da sempre solo in film impegnati.

“Ubriaco d’amore” di Paul Thomas Anderson, “The Meyerowitz Stories” di Noah Baumbach e “Diamanti grezzi” di Josh e Benny Safdie sono un esempio delle qualità attoriale di Sandler. Proprio come “Hustle”, un dramma sportivo diretto da Jeremiah Zagar, da giugno disponibile su Netflix, che parla di basket senza essere banale e cadere nella gabbia dei soliti cliché.

Il ruolo interpretato da Sandler è quello di Stanley Sugarman, un ex giocatore di pallacanestro, osservatore per i “Philadelphia 76ers” che vorrebbe dare una scossa alla propria carriera: smettere di viaggiare in giro per il mondo e diventare (vice) coach.

Tra le tante frasi motivazionali, una di quelle che mi ha colpito di più è: “L’ossessione vince sul talento”. Puoi essere il più bravo in qualunque settore – culturale, sportivo, finanziario, medico – ma se il talento non è “spinto” dalla passione ossessiva, dalla forza di un pensiero costante e positivo, gli obiettivi difficilmente verranno raggiunti.

E Adam Sandler questo lo sa bene dato che nella vita è davvero un appassionato di pallacanestro e direi che anche il cinema è la sua ossessione!

La bellezza trascinatrice di “Hustle” sta nella bravura dei veri giocatori di basket che sono stati coinvolti nel film, nella mano rude e poetica al contempo del regista Zagar e nella recitazione di Sandler.

Deluso da quanto accade a seguito della morte di Rex Merrick, lo storico patron della squadra, interpretato dal fantastico Robert Duvall, Stanley Sugarman si ritrova con niente: cancellato il sogno di poter essere l’assistente dell’allenatore, deve di nuovo viaggiare in cerca di talenti. Quando finalmente ne trova uno in Spagna – Bo Cruz, nel cui ruolo c’è un vero giocatore degli Utah Jazz Juancho Hernangómez – nessuno gli dà fiducia.

Uno dei motivi è la tensione tra Sugarman e il “nuovo” patron della squadra (Vince, il figlio di Merrick) che porta il protagonista a mollare il ruolo di talent e vivere una condizione davvero triste e desolante.

Comunque Sugarman è pronto sul serio a scommettere sulle potenzialità del ragazzo; in prima persona investe perché pensa sia davvero incredibile, sia “un unicorno”.

E qui inizia la parte attiva/sportiva in senso stretto della pellicola: allenamenti, errori, prove su prove, e via con vari montaggi di scene dedicate al percorso di Bo.

Alcune curiosità

Il film è stato girato a Philadelphia, città natale del regista. E non è un caso.

“I 50enni non hanno sogni, solo incubi ed eczema”, è una delle massime di Sandler/Sugarman.

Il film anche se racconta la storia di un campione, lo fa dal punto di vista di chi lo allena: questo dà tutto un altro ritmo alla storia.

Le scale dell’allenamento notturno di Bo sono le stesse su cui ha sputato sangue e sudore “Rocky Balboa” (citato più volte).

Come avevo anticipato, ci sono tanti giocatori, allenatori e personalità del mondo NBA: Tobias Harris, Dirk Nowitzki, Luka Dončić, Shaquille O’Neal, membri dei Philadelphia 76ers; e poi Anthony Edwards che interpreta Kermit Wilks e Moe Wagner, il volto di Haas (insieme a Hernangómez sono giocatori attualmente attivi nell’NBA). Chicche che gli appassionati di basket ameranno.

Infine moglie e figlia di Sugarman sono davvero due personaggi degne di nota: Queen Latifah interpreta l’ironica Teresa, mentre nei panni della figlia Alex, giovane e divertente, c’è Jordan Hull.

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