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Rubrica Leggerissima: “House of the Dragon”, il prequel

“Racconto o film il cui contenuto intende proporre gli antefatti di una storia facente parte di un ciclo”: questa è la definizione che ho incontrato più spesso quando sono andata alla ricerca di approfondimenti sul concetto di “prequel”.

L’etimologia della parola è abbastanza intuitiva: deriva dall’inglese “sequel”, appunto seguito di una storia televisiva o cinematografica, con l’uso del suffisso “pre-” al posto di “se-”. Per cui è certo che un “prequel” ci svelerà qualcosa accaduta molto prima (nel filo narrativo), ma realizzata “dopo” una storia di cui conosciamo già tutto.

Mi sono sempre chiesta se è il successo di un film o di una serie tv che spinge produttori e sceneggiatori a inventare qualcosa del prima di una storia già scritta nel futuro (e vista nel presente o in un recente passato), o se di quella storia, avendo dovuto tralasciare troppe parti, hanno poi sentito il bisogno di spiegare il “che cosa ha portato a”. Una sorta di fascinazione televisiva o cinematografica del perché. E chissà quale dei due ragionamenti si addice di più a “House of the Dragon”, appunto prequel de “Il Trono di Spade” (2011-2019). Si tratta della serie televisiva statunitense, attualmente in produzione, creata da Ryan Condal e George Raymond Richard Martin, basata – in parte – sull’opera “Fuoco e sangue” di George R. R. Martin.

Dieci le puntate della prima stagione (ne è prevista una seconda) ambientate 200 anni prima degli eventi de “Il Trono di Spade” e 172 anni prima della nascita di “Daenerys Targaryen” che raccontano la “Danza dei Draghi”, cioè gli eventi che non solo precedono ma caratterizzano la guerra civile dei Targaryen.

Due gli show runner (o showrunner o auteur-producteur, cioè le persone responsabili delle operazioni giornalieri che rendono “possibile” una serie tv), della prima stagione di “House of the Dragon”: Ryan J. Condal e Miguel Sapochnik, di cui ricorderete di sicuro la regia di molte puntate, tra le quali l’episodio “La battaglia dei bastardi”, nono episodio della sesta stagione de “Il Trono di Spade” (GOT, “Game of Thrones”).

Se non vi hanno convinto i nomi fin qui citati, pensate alla bellezza di potervi immergere di nuovo nell’atmosfera di “Westeros”, quel Continente Occidentale nato dalla fantasia di George R.R. Martin, e di “vivere” la battaglia per la successione al “Trono di Spade”, una lotta che si scatena quando re Viserys I (interpretato da Paddy Considine), cerca di nominare sua erede la figlia, la principessa Rhaenyra (interpretate da Milly Alcock e Emma D’Arcy: giovane e adulta).

Una decisione che scatena una guerra sanguinosa perché: “Gli uomini preferirebbero dare alle fiamme il regno piuttosto che vedere una donna salire sul Trono di Spade” (parole di Rhaenyra).

Riporto una breve analisi sul lavoro di George R.R. Martin, sul suo approccio alla costruzione delle storie fatto di personaggi imperfetti, ambiguità morali/etiche e tragici colpi di scena, e che trovo perfettamente calzante alla società di oggi.

Martin mette al centro delle sue opere la stratificazione della realtà: “Si ha l’idealismo contro il dovere, l’amore romantico confrontato col primato della famiglia, la misura in cui gli individui possono arrivare al fine di proteggere la famiglia (o di migliorare se stessi all’interno della famiglia), i conflitti che nascono da differenti livelli di impegno sociale, i motivi per cui le persone sono spinte al male, la natura della redenzione, la realpolitik contro il fare la cosa giusta, l’etica delle azioni politiche e le loro conseguenze, la brutalità della guerra, i modi in cui i membri di diverse classi sociali (con successo o senza) navigano in un’antica struttura/classe feudale, e il significato della religione e della convinzione all’interno di molte alternative in competizione”.

In sintesi: i suoi lavori vanno visti e letti!


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