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Rubrica Leggerissima: Can You Ever Forgive Me?

Avete mai sentito parlare di Lee Israel? Era una scrittrice, giornalista freelance e falsaria statunitense nata nel 1939, morta nel 2014, dal talento incredibile e dal pessimo carattere: in California incontrò Katharine Hepburn, poco prima della morte di Spencer Tracy, della quale scrisse un “profilo-intervista” pubblicato nel 1967 sulla rivista Esquire; poi si occupò delle biografie dell’attrice Tallulah Bankhead, della giornalista e presentatrice Dorothy Kilgallen (il libro venne inserito nell’elenco dei best seller del New York Times) e dell’imprenditrice Estée Lauder (un mezzo flop).

Eppure a causa di alcune scelte professionali e personali poco sagge, tra le quali l’elevata quantità di alcol che tracannava ogni giorno, Lee Israel distrusse in itinere una carriera letteraria dal retrogusto sfolgorante.

La sua vita fu un film a tutti gli effetti. “Can You Ever Forgive Me?”, in italiano “Copia originale”, è la pellicola diretta da Marielle Heller nel 2018 che ne racconta il genio; Israle arrivò a fabbricare ben 400 lettere false di scrittori famosi pur di guadagnare e poi, dopo essere stata beccata e condannata, ne racconta il perché nel libro “Can You Ever Forgive Me? Memoirs of a Literary Forger” pubblicato dalla casa editrice Simon & Schuster nel 2008 (da cui naturalmente è tratto il film).

Insieme alla registra Marielle Heller, Nicole Holofcener e Jeff Whitty, scrivono una sceneggiatura davvero ben equilibrata. I personaggi vengono analizzati nel profondo, risultano veri, e il merito va anche alla bravura dei due attori principali: Melissa McCarthy (Lee) e Richard E. Grant, che interpreta Jack Hock, l’amico estroverso e affabile con la stessa passione per il whisky e per un’esistenza borderline.

Insieme danno ritmo alle scene e catturano l’attenzione di chi guarda. Si vede e si respira New York, una città tremenda: dura e fredda e al contempo elegante e accogliente, calda come possono esserlo certe librerie e viva come l’interno di alcune case.

Chi sceglie un film del genere scoprirà di provare sentimenti contrastanti ma per lo più empatici con i personaggi principali; ne amerà gli aspetti controversi e contraddittori; ne condividerà le scelte solitarie sentendo il distacco con quel mondo di “letterati e artisti” così lontano dalla verità esistenziale di Lee e Jack.

L’attività centrale di falsaria su cui ruota tutto il film accadde negli anni ’90 e, tra i nomi noti di cui Lee Israel si intestò le lettere, ricordo Louise Brooks, Dorothy Parker, Ernest Hemingway e Noël Coward. Da adesso in poi però non vi svelo altri dettagli, del resto fondamentali per il pieno godimento di “Can You Ever Forgive Me?” che al di là dell’amarezza, è un film dai toni cinici e ironici che strappa sorrisi e riflessioni non sempre amare. Un film stimolante che ha la grande capacità di usare registri diversi nei tempi giusti in modo da rendere la narrazione fluida e mai noiosa.

Che poi è quello che fa una brava scrittrice.

A cura di Simona Merlo

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