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Rubrica Leggerissima: “Perché (ri)vedere The Normal Heart”

Spesso per “una rubrica leggerissima”, ho raccontato film e serie tv attuali; ho parlato di podcast, documentari, libri, docu-serie, programmi di attualità e cronaca. Lavori calibrati sulla dimensione dell’oggi, del presente.
Questa volta, però, voglio raccontare un film per la televisione del 2014 diretto da Ryan Murphy e basato sull’omonima opera teatrale di Larry Kramer del 1985: The Normal Heart.
È difficile sintetizzarne la trama perché quello che viene fotografato così bene dalla regia di Murphy è l’epopea vissuta negli anni Ottanta a New York in primis dalla comunità gay, e dopo dal resto del mondo, cioè il periodo in cui si pensava che l’AIDS colpisse esclusivamente gli omosessuali (da qui l’iniziale nominazione di GRID, Gay-related immune deficiency).

Il cast è a dir poco eccezionale: Mark Ruffalo interpreta Ned Weeks, un famoso scrittore newyorkese dichiaratamente omosessuale che cerca di far comprendere la gravità della situazione prima alla comunità gay e poi al governo degli Stati Uniti; Julia Roberts è Emma Brookner, una delle poche dottoresse che lotta per ricevere fondi e supporto adeguati per curare i propri pazienti (dettaglio non da poco, lei è in sedia a rotelle a causa della polio, altra forma virale super contagiosa); Matt Bomer è Felix Turner, il compagno di Ned; Taylor Kitsch nel ruolo di Bruce Niles. E ancora Jim Parsons è Tommy Boatwright e Alfred Molina il fratello di Ned, avvocato di successo che alla fine di fronte all’amore di Felix per il fratello capisce che non c’è “diversità nell’omosessualità”. Presente anche Joe Mantello, che per anni ha interpretato Ned Weeks a teatro, nei panni di Michael R. “Mickey” Marcus.
Il tempo passa e anche se il coraggio di questo gruppo di attivisti non viene mai meno, uniti in particolare
alla costanza e all’aggressività di Ned, i risultati in termini di consapevolezza generale e di aiuti statali non arrivano. Anzi: non è un problema del Governo.

Questo film, pur senza dare giudizi inutili o regalare atteggiamenti tipici del pietismo e di una finta empatia, lascia sulla pelle una tristezza strana, una malinconia rabbiosa: persino le malattie per essere “studiate” devono toccare la giusta fetta di popolazione mondiale. Ancora oggi.

Focus di “The Normal Heart” è quindi la necessità di contrastare l’indifferenza e la conseguente totale mancanza di sostegno e di informazioni, da parte delle autorità. Non per niente, un aiuto concreto è arrivato dall’associazione Gay Men’s Health Crisis di cui è stato fondatore nel 1982, tra gli altri, proprio Larry Kramer.
Insomma senza avere alcuna colpa, i malati di quello che è stato definito erroneamente il “cancro dei gay” non solo hanno vissuto anni di paura dopo decenni di “vergogna indotta”, ma sono morti nel dolore, senza assistenza, soli. E chi, per mera fortuna, ce l’ha fatta, ha dovuto lottare anche contro la cosiddetta “sindrome del sopravvissuto”.

Una pellicola così emozionale e coinvolgente la consiglio per più di un motivo: intanto perché si capisce quanto sia importante una sanità che funzioni, pubblica, pro diritto alle cure di tutte le persone.
E poi perché, nonostante i tanti passi avanti della medicina, non esiste ancora vaccino né cura miracolosa contro l’Aids.

Infine perché la difesa dei diritti contro la stupidità di ragionamenti biechi ed egoistici, basati su pregiudizi e sulla poca conoscenza riguarda ciascuno di noi.
Nel film, infine, c’è una chicca sull’università di Yale che riguarda proprio Kramer, un altro lascito autobiografico: Ned provò a suicidarsi proprio durante gli anni accademici; nella stessa università dove, anni dopo costanti lotte per i diritti dei gay (portate avanti anche da Ned/Kramer), venne indetta la “settimana gay”. Ironico, no?

L’opera teatrale di Kramer resta una delle risposte culturali più importanti alla devastazione causata dall’AIDS con più di 600 messe in scena a livello mondiale; nel cast di New York c’era anche Brad Davis, che sarebbe poi morto a sua volta di AIDS.
Il testo di “The Normal Heart” è adottato come libro in molte scuole e università: suggerirei di aggiungere anche il film.

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