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Rubrica Leggerissima: “Dieci Capodanni”

Se oggi hai più di trent’anni e meno di cinquanta, “Dieci Capodanni”, in lingua originale “Los años nuevos”, è la serie televisiva che più rispecchierà la tua vita.

L’ho iniziata per caso su Rai Play, giusto perché conoscevo il regista Rodrigo Sorogoyen, e già alla fine del primo episodio ho pensato: che caos, che vite, come le nostre!

I protagonisti sono Ana e Oscar.
Si conoscono per caso a una festa di Capodanno: è il 2015, diventano una coppia, ma non subito, e noi ne seguiamo il corso per dieci anni (da qui il titolo originale).

Nella prima puntata li vediamo trentenni. Poi li ritroviamo nel 2016. Non c’è il racconto classico dell’oggi, il regista non svela ciò che accade in modo lineare. Fa un salto di 365 giorni e così noi ritroviamo Ana e Oscar l’anno dopo, sempre tra fine dicembre e inizio gennaio e siamo già alla seconda puntata di stagione e così fino all’ultima.

Nella numero 1, Oscar, medico internista con contratto precario e quasi sempre di turno al pronto soccorso, incontra Ana, barista di un locale cool di Madrid, con un visto di lavoro per il Canada in scadenza.

Come anticipato, hanno entrambi trent’anni: lui è l’ultimo nato del 1985, lei la prima del 1986. Bevono, vanno a una festa, finiscono a letto e insieme si risvegliano il primo del 2016, decidono di raggiungere Valencia per il pranzo di Capodanno che, però, non riusciranno a fare…

Dieci episodi, dieci anni, un pezzo di vita, un tempo con un ritmo particolare, diverso, ma che mostra la vita per quella che è: caotica, ricca di sorprese, piena di scelte da fare, non sempre facili, di sentimenti contrastanti, di confusione, passione, attrazione, sesso, di difficoltà lavorative, divergenze caratteriali, precarietà. Velocissima.

Del passaggio verso il mondo adulto a 40 anni, perché prima non c’è spazio per esserlo e qualche volta nemmeno la volontà.

I due protagonisti e i loro compagni di viaggio arrivano al 2025 passando attraverso la pandemia, le dipendenze, i traumi, la maternità, il lutto, gli errori, la ricostruzione di se stessi e delle relazioni intime e di amicizia.

Anno dopo anno Ana e Oscar si perdono e si ritrovano, da soli, insieme, in Spagna, in Francia, in Germania, con gli amici di sempre, con quelli nuovi, e noi con loro.

Rodrigo Sorogoyen ha un modo tutto suo di raccontare ed è riconoscibile anche in questa serie.

Le sue immagini suggeriscono, i dialoghi sono “veri”, i suoi lavori ragionano sull’individuo, sui traumi, su pregi e difetti, senza quella presunzione per la perfezione e il raggiungimento del successo a ogni costo che oggi sembra assillarci di continuo.
Sorogoyen non costruisce artifici, almeno non per me. Non mente.

Il cast è unico: Ana è interpretata da Iria del Río che regala alla protagonista quella vivacità necessaria a far funzionare il personaggio, così come Francesco Carril, Oscar, ha uno sguardo al contempo triste, un po’ malinconico, ma anche brillante ed empatico.
Tutti i personaggi del resto sono sensibili, umani, credibili. Lo sono perché interpretati da professionisti davvero di talento, ma soprattutto per la capacità di Sorogoyen di “non esibire”.

Tra i film del regista, sceneggiatore e produttore spagnolo, vi consiglio “Madre” del 2019 e “As bestas” del 2022.

Simona Merlo
@smwriter su Instragram

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