Nella giornata di ieri un altro poliziotto penitenziario si è tolto la vita, nella sua auto e con la sua pistola d’ordinanza, in una stradina poco distante dall’Istituto di San Gimignano.
Il collega aveva poco più di 30 anni, era un agente scelto. Il suo gesto, come quello di decine di altri colleghi negli ultimi anni, è sicuramente frutto di diversi fattori e problemi che incidono sulla vita di un uomo che, non riuscendo a superarli, sceglie la strada più drastica. Appare però, a questo punto, necessaria e dovuta una riflessione su quanto incida il lavoro del poliziotto penitenziario su scelte così estreme. 55 suicidi tra i soli poliziotti penitenziari negli ultimi 3 anni non sono un caso, sono un fatto. E i fatti sono tali al di là delle fantasiose interpretazioni che ognuno può dare.
In questi casi la retorica del “parlarne con qualcuno” non funziona, perché non risolve il problema ma si limita ad alleggerire i pesi che un uomo porta per il tempo di una chiacchierata, finché non ritorna ognuno alla propria vita e, quindi, alle proprie problematiche.
Anche la retorica di onorare la memoria, ha fondamento solo laddove non resta un semplice momento di cordoglio, ma diviene un momento di riflessione e crescita. Se il lavoro e le condizioni di lavoro possono essere solo un aspetto della vita di un uomo, di fatto sono quelle che permettono all’uomo di emanciparsi in questa società, di trovare il suo ruolo e la sua dimensione, di formarsi ed educarsi. Allora onorare la memoria di questo ed altri colleghi morti per suicidio, vuol dire fare concretamente dei passi verso la trasformazione delle condizioni del nostro lavoro in condizioni dignitose. La questione va anche oltre il semplice aspetto lavorativo. Molti dei poliziotti penitenziari vivono nelle caserme, sono luoghi di socialità e convivenza, oltre che di riposo. L’Amministrazione Penitenziaria da anni ha abbandonato gli Istituti (con annesse le caserme e chi ci vive) con la parola d’ordine non scritta “arrangiatevi come potete”. Di contro chi dirige gli Istituti fa lo stesso nei confronti della truppa e delle sue richieste di miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro.
E’ doveroso, se l’intenzione è quella di evitare tali tragedie, intervenire con decisione e forza sul miglioramento delle condizioni lavorative e l’Amministrazione Penitenziaria non può, in alcun modo, deresponsabilizzarsi su questo aspetto.
Il delegato locale
Lepore Simone